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IL RICHIAMO DELLA STRADA

 

Nell'attesa che venga dato nuovamente alle stampe il libro "Strade Aperte", scritto dal primo Assistente Ecclesiastico centrale dell'ASCI della rinascita e: pubblicato per la prima volta nel 1950, inseriamo nel sito una pagina di quel libro, sperando possa essere utile per aiutare a meglio comprendere il senso più vero e profondo del "fare strada"... con i piedi, anche nel Roverismo cattolico italiano.

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di Monsignor Sergio Pignedoli

 da "Strade aperte", 1950

 

(Mons. SERGIO PIGNEDOLI

Felina – Reggio Emilia, 1910 – Milano, 1980)

Sacerdote, Vescovo e Cardinale. 

Ordinato nel 1933, Assistente  degli studenti dell’Università Cattolica di Milano, Cappellano della Marina,  collaboratore di mons. Montini in Segreteria di Stato (poi Papa Paolo VI). Primo Assistente Ecclesiastico dell’ASCI alla rinascita (1944 / 1955).

Nunzio Apostolico, Segretario della Concregazione Propaganda Fede (1967-73). Cardinale e Presidente del Segretariato per in non Cristiani

 

 

"AI GIOVANI DI ANNI E DI CUORE

 Queste pagine sono rivolte ai miei giovani amici. 

A quelli conosciuti all'università Cattolica di Milano, e su le navi durante la guerra. 

A quelli più giovani conosciuti nell'A. S. C. I. , nell'A. C. I. , a Roma e in tante altre città.

Per tutti questi le pagine che scrivo vogliono essere un incontro di fraternità quasi per guardare il mondo insieme.

Per chiederci perdono, vicendevolmente, se abbiamo detto parole inutili o vuote di carità, e aiutarci con fiducia per il domani. 

Un po' tutti (anche i migliori) siamo della povera gente e abbiamo bisogno di sentirci amici. [...]

Anzitutto queste pagine sono state composte sulle strade del mondo. [...]

Nata da una strada di terra e da strade del cielo questa lettera ha trovato il suo titolo; che, nella mia intenzione vuol significare un concetto:

un giovane è un uomo in cammino, il quale, o prima o poi, con l'aiuto di Dio, e se ha buona volontà, raggiunge una mèta".

don Sergio Pignedoli  - dalla prefazione di "Strade aperte"

 

 Le strade hanno richiami pieni di poesia: quelle di Maremma con le distese di pascoli senza case; la via Flaminia che fugge rispettosa lungo le mura vetuste di Narni o di Spoleto; la via Emilia rumorosa e senza riposo; le strade ombrose del Veneto, lungo i canali immobili; e le vie del mare azzurro, da Ventimiglia a Reggio Calabria; e quei pochi chilometri che corrono, tra cipressi e secoli, da Cervignano del Friuli alla Basilica di Aquileia, e la via Appia Antica...

 Dall'aereo ho seguito le vie dei colonizzatori spagnoli, sulle Ande, sull'altopiano sconvolto che da Lima va a La Paz e sui verdi monti dell'Ecuador; sugli altopiani e le valli misteriose degli Aztechi. Ho visto le vie dei colonizzatori francesi e inglesi sul regale fiume San Lorenzo, lungo i margini delle foreste sepolte nella neve. Ma rimango dell'idea che le strade migliori sono quelle percorse a piedi, in semplicità di cuore e di equipaggiamento.

Gli antichi erano molto amanti delle strade. E gli uomini, in altri tempi, pellegrinavano di più: prendevano una bisaccia, un bastone, e andavano a San Giacomo di Compostella. Oppure, dalla Svezia, venivano a Roma. Oppure, da ogni parte, si recavano al Sepolcro del Signore in Gerusalemme, attraversando le terre di Croazia e di Macedonia e quelle intorno agli Stretti. Ora non avviene più e c'è chi dice che neanche è più possibile. Sarebbe un peccato, veramente, che le strade fossero tolte definitivamente dai programmi della vita.

E' domenica: sono appena le nove del mattino, ho già sentito Messa. Potrei prendere la bicicletta, oppure il mio bastone e il mio sacco.

Nascono a questo punto alcuni dubbi: sarebbe più comodo rimanere a casa, forse si potrebbe anche studiare, c'è un invito di amici, c'è un nuovo film...

Dammi retta, amico: deciditi. Distaccati da quel che è il comodo, che snerva e toglie sapore all'avventura. Hai due ottime gambe, puoi benissimo fare quaranta chilometri.

Mettiti per i viottoli, e via verso le cime.

La fatica più grossa non sarà dei quaranta chilometri, ma dei tre primi passi.

Se ti poni il sacco a tracolla e fai tre passi, tutte le tentazioni, aggrappate ai tuoi abiti per trattenerti, molleranno.

Fa la prova. E la strada ti lascerà i suoi doni.

Li lascia sempre. "La strada non inganna."

Si misura dopo il ritorno, quando è già stata percorsa. Ritornerai migliorato fisicamente, con un allegro benessere in tutte le membra, perché l'andare è lo sport più completo, quello creato da Dio.

Si torna più buoni, più distesi di spirito e più freschi per il lavoro.

Ciascuno rivede la sua casa e il suo domani con una fiducia rinnovata.

 don Sergio Pignedoli

 da "Strade aperte", 1950  

"La vita rude –per il roverismo cattolico- non è né slogan per le testate delle riviste, né forma di esibizione per differenziarci dagli altri, né giuoco provvisorio per una settimana di campo: è esigenza fondamentale di una pedagogia che si sforza di essere cristiana [...]. La vita rude è ascetica per l’acquisizione di valori essenziali: la libertà delle cose, per il possesso dell’amore di Dio.

Per questo essa entra come elemento essenziale ed insostituibile nel nostro Metodo: chi vuol dimenticarlo tradisce i giovani a noi venuti, per essere guidati alla vita: meglio, ad una pienezza di Vita."

(don Andrea Ghetti  - Baden)

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