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Guy de Larigaudie

1908 - 1940

il "Rover leggendario", caduto sul Campo dell'Onore, alla frontiera del Lussemburgo, l'11 Maggio 1940

una via di Saint-Martin de Ribérac - Francia

 "Ammira e fa tue tutte le bellezze del creato sparse intorno a te. Accadendoti - malauguratamente - di tradurle in pagine imperfette, falle salire in umile omaggio fino a Dio. Segui la pista, tortuosa o diritta, che Dio ti ha tracciato e non abbandonare - qualunque essa sia - questa via che é tua. Corri la tua avventura con cuore ardito e gioioso, ma quando, venuta l'ora, bisogneràla tomba di Guy nel cimitero di Saint-Martin de Ribérac occuparsi della sola avventura che conti, il dono totale a Dio, accettala di buon grado: non c'è che Dio che conta. Solamente la sua luce e il suo amore sono capaci di far contento e di saziare il nostro povero cuore di uomini, troppo vasto per il mondo che lo circonda".

 

 

Guillaume Boulle de Larigaudie, conosciuto con il nome di Guy de Larigaudie, il Rover "leggendario" che per primo collegò in auto la Francia con l'Indocina, cadde sul "Campo dell'Onore", alla frontiera del Lussemburgo l’11 maggio 1940.

Sulla sua salma fu trovata una lettera diretta a una Carmelitana, in cui scriveva:

"Reverenda Suora, eccomi ormai nella mischia.

Può darsi che non ritorni.

Avevo dei bei sogni e dei bei progetti, ma se non fosse per la pena immensa che ciò arrecherà alla mia povera mamma e ai miei, esulterei di gioia. Sentivo tanto la nostalgia del Cielo, ed ecco che la porta sta ora per aprirsi. Il sacrificio della mia vita non rappresenta per me nemmeno un sacrificio, tanto è grande il mio desiderio del Cielo e del possesso di Dio. Guy sulla Ford del Raid Parigi - Saigon

Avevo sognato di diventare un santo e d’essere un modello per i Lupetti, gli Scout e i Rover. Forse era un ambizione troppo alta per la mia statura, ma era sempre il mio sogno.

Mi trovo in una formazione di cavalleria, e sono felice che la mia ultima avventura sia a cavallo..."

 

 

In questa lettera lo ritroviamo tutto intero, col suo amore alla vita e la sua nostalgia del Cielo.

Vi affondava avidamente i denti, lui, nella vita, come un fanciullo attratto da un frutto meraviglioso. Ma nel suo intimo non cessava di ascoltare un’altra melodia, una voce più seducente ancora: ed era quella di Dio.

Gli Scout cercano di unire tutto l’umano col Divino, d’impadronirsi del Creato con spirito di gratitudine. di offrire a Dio l’omaggio del loro corpo robusto e della loro gioia di agire. La loro vita spirituale vorrebbe trascinare, nella sua ascesa verso Dio, tutta intera la loro vita umana.

Guido de Larigaudie realizzò in maniera perfetta questa difficile alleanza.

Le sue ultime parole, che riassumono l’essenza della sua vita, lo confermano in pieno.

La morte in cui si slancia, è il sigillo che darà alla sua opera letteraria un carattere di autenticità indiscutibilmente sacra, che si impone e suscita amore e rispetto. Vi ritroviamo proprio lui, pieno nello stesso tempo dell’anelito verso Dio e della gioia di vivere.

Ha percorso la terra con un sentimento di meraviglia. Pochi sono stati più di lui sensibili alla bellezza del mondo.

In essa volle quasi immergersi. Ogni cosa fu per lui motivo di incanto e di elevazione a Dio, dall’umile fiore che eleva il suo canto silente, alla gloria luminosa dei cieli esplorati in aereo.

E non si tratta, per lui, di un bisogno puramente estetico. La bellezza lo porta ad amare.

Per meglio amare, poiché già ama, scopre lo specchio del mondo e lo contempla. Il suo amore per tutte le cose e per tutti gli esseri è pervaso da una tenerezza francescana. Apprezza il bene che riceve; la sua gratitudine è insieme volontà di dedizione.

L’amore genera vita. Con questa sua vivezza d’amore si spiega come Guido riesca a far rivivere per noi così potentemente le sue luminose visioni dell’Oriente e a introdurci nell’intimità della sua vecchia dimora del Périgord. (...)

La modestia e la semplicità sarebbero la sua caratteristica, se non lo fossero ancor più la purezza e la gioia. Chi non l’ha visto ridere, non ha idea di quel che sia la santa libertà dei figli di Dio, o la trasparenza cristallina di un’anima prodigiosamente preservata.

Quando scrive, lo fa per partecipare agli altri, soprattutto ai giovani, la gioia della sua scoperta. Tutto quel che possiede, lo dona; e il suo stile, come lui stesso, è limpido.

Appassionato delle corse pericolose, delle danze, dei canti, non disprezza mai le attività anche più umili dell’uomo, ben sapendo che in questo privilegiato della Creazione tutto acquista un valore celeste (...).

Conosce il valore dei più umili mestieri:

"La nostra vita è una successione di piccoli gesti, ma che divinizzati modellano la nostra eternità".

E ancora:

"E’ ugualmente bello sbucciare delle patate per amore del Signore, quanto costruire delle cattedrali".

Il suo sguardo sul mondo, è pieno di benevolenza. Nessuno ha praticato meglio di lui la carità del sorriso, di cui ha saputo scrivere uno splendido elogio. (...)

A spingerlo nelle sue esplorazioni fino alle estremità della terra non è stata una semplice curiosità, ma come una specie di irresistibile fuoco interiore, una fame, un bisogno, urta nostalgia. Attraverso il mondo creato cerca Dio e ne è consapevole.

Per lui si preserva dal male. Per amor suo rinuncia a tutto quello che potrebbe allontanarlo dalla Purezza infinita:

"Bisogna avere il cuore pieno di Dio, come un fidanzato ha il cuore pieno della fanciulla che ama".

Ma questo Dio nel cuore è un fuoco divoratore; la nostra vita è troppo angusta per contenerlo:

"Su un veliero, quando più nessuna terra è in vista, dall’alto dell’albero maestro uno può godersi da solo tutto il cerchio dell’orizzonte. Tuttavia si vorrebbe spingere ancora più lontano quella linea, allargare quel confine che, nonostante tutto, Ci Imprigiona; poiché siamo fatti per lontananze ben più vaste delle intristite distese degli orizzonti terrestri... Il nostro desiderio di felicità è troppo smisurato perché possa mai appagarci se non nell’aldilà".

 

 

Guido è il commentario vivente di quelle parole di San Paolo: "In questa vita noi sospiriamo, bramando ardentemente di penetrare in quella che è la nostra abitazione celeste" (Il Cor. V, 2). Solamente la Casa di Dio sarà proporzionata al nostro bisogno di amare e di essere amati. Per arrivarci, però, occorrerà morire (...). La morte, lo sa bene, non gli potrà far paura; è la porta che si dischiuderà amichevole sull’immensità di Dio. Sa per esperienza (poiché non meno di due volte, nel corso dei suoi viaggi, è stato sfiorato dalla morte) che niente potrà separarlo dalla amicizia di Dio.

Il giorno in cui poco mancò che si fracassasse la testa in un tuffo pericoloso, qualche cosa cambiò in lui:

"Compresi allora che non c’è che una cosa al mondo che conti veramente: l’amor di Dio. Un amore immenso, inragionato, un amore di fanciullo in adorazione davanti a sua madre, un amore totale che ci prenda intieramente, in ogni istante della nostra vita. Questo amore infantile, questo meraviglioso amore, cancellerà più tardi tutte le nostre miserie e rimarrà solo e trionfante".

Guido è cosi abituato alla presenza di Dio, che ha sempre, in fondo al cuore, qualche preghiera che gli sale alle labbra.

Nel 1937 si dà subito da fare per preparare un viaggio che in quel tempo, siamo nel 1937, avrà una risonanza mondiale: il raid automobilistico Parigi - Saigon, insieme con l'amico Roger Drapier.

Complessi problemi logistici, diplomatici e finanziari saranno rapidamente affrontati e risolti con coraggioso spirito di francescana povertà. Con una disegno di Pierre Joubert, in occasione del Raid Parigi - Saigonvecchia ma valorosa Ford, in sette mesi percorreranno dodicimila chilometri, moltissimi dei quali, specie nella seconda parte del viaggio, interamente fuori strada, che li porteranno attraverso la Svizzera, l’Europa orientale, la Palestina, la sterminata "Mezzaluna fertile" fino all’Afganistan, all’India e seguendo la valle e le paludose foci del Gange, tra avventure incredibili e talvolta drammatiche a superare la Catena Birmana, ad aggirare il Siam e a raggiungere Hanoi, finalmente di nuovo su strade vere, anche se non certo asfaltate, fino ad arrivare, trionfalmente accolti, alla sospirata meta di Saigon alla metà di marzo del 1938. La descrizione interessantissima di questo viaggio costituisce il suo libro "La route aux Aventures".

Prima di tornare in Francia, mentre già cominciano ad addensarsi le nubi minacciose della seconda guerra mondiale, Guy si gode con il suo compagno, il meritato riposo di una crociera alle Isole della Sonda, visitando anche l’Indonesia. Altri luoghi d’incanto, altre Avventure, altre occasioni per immaginare attraverso le bellezze di questa terra gli splendori dell’aldilà, che lui fisserà nel suo quaderno di pensieri:

"Tutta la mia vita è stata una lunga ricerca di Dio. Dovunque, in qualunque momento, in ogni parte del mondo, ho cercato la sua traccia e la sua presenza. La morte non sarà per me che un meraviglioso slancio verso di Lui".

Sulla via del ritorno in patria Guy, ormai trentunenne, maturato da tante in partenza per Saigonesperienze e da una crescente vita interiore attestata dai suoi scritti, pensa che sia giunto il momento di dare alla sua testimonianza cristiana una concretezza più aperta agli altri, e quindi più apostolica.

La sua guida spirituale è una Religiosa Carmelitana di strettissima clausura che è anche la destinataria della sua ultima lettera, la quale ha saputo scoprire nelle lotte e negli slanci dell’anima di questo giovane straordinario, l’armoniosa unità di una vita consacrata.

Guy, da ragazzo, aveva già intuito in sé una vocazione di "missionario moderno". Ora, dopo aver visitato il lebbrosario di Qui-Hoa, sente rinascere in cuore la voce di quella prima chiamata; e nella piena maturità della sua giovane vita decide di consacrarsi all’Apostolato portando i tesori umani e spirituali dell’autentico Scautismo ai fanciulli lebbrosi dell’Indocina.

Vocazione eroica, che ci richiama la figura del famoso Padre Damiano. Il problema più difficile sarà quello di comunicare una tal decisione alla sua Mamma...

Ma l’uomo propone e Dio dispone. Questa offerta cosi generosa e totale non potrà realizzarsi. Già nel settembre del 1938 (la tensione internazionale si andava facendo sempre più acuta) la sua Suora Carmelitana gli scriveva:

"Se per delle circostanze impreviste l’attuazione della sua decisione divenisse impossibile, il Signore la riterrà certamente come attuata, dal momento che lei l’ha presa per amor suo, e coronerà l’anima che intendeva compierla con la ricompensa promessa a questo genere di olocausti".

 E il 7 luglio del 1939, un mese prima che la Superiora di Qui-Hoa confermasse a Guy che ormai era atteso con ansia da tutti i giovani del Lebbrosario, la stessa Carmelitana gli scriveva:

"Andrà lei a Qui-Hoa, o sul campo di battaglia? Lasciamo a Dio il suo segreto".

Mobilitato nel settembre in un reparto di Cavalleria, Guy si rende conto che si tratta questa volta, di un’Avventura di sacrificio totale e vi si getta con piena consapevolezza.

Il 10 Maggio 1940 l’offensiva tedesca si scatena e dilaga fulminea sull’Olanda, il Belgio e il Lussemburgo. L’11 Maggio, verso mezzogiorno, Guy riceve l’ordine di presidiare con pochi uomini un’importante altura a immediato contatto col nemico. Nonostante la preponderanza delle forze corazzate tedesche, un primo assalto viene respinto; verso le 18 la sua pattuglia è già circondata, ma resiste ancora in una lotta senza speranza. Alle 21 si sa che Guy continua a difendere la posizione con soli quattro uomini contro un intero battaglione...

Si conosce solamente questo particolare: quando i tedeschi, a notte, conquistarono la posizione, si sentirono in dovere di rendere gli onori militari ai cadaveri dei cinque caduti.

Gli oggetti personali di Guy, l’orologio, il portafoglio, qualche fotografia, e la lettera alla Carmelitana che é stata riportata in principio, furono fatti recapitare, tramite la Croce Rossa Internazionale alla sua famiglia che ne venne in possesso circa un anno dopo.

Prima di partire per la guerra e affidarlo alla mamma, Guy scrisse sul quadernetto dei suoi pensieri la parola

CONCLUSIONE:

"Ho passeggiato attraverso il mondo come in un giardino cinto di mura.

Ho condotto la mia avventura da un capo all'altro dei cinque continenti ed ho realizzato, uno dopo l'altro, tutti i sogni della mia infanzia.

Il parco della vecchia villa Perigord, dove feci i primi passi, si è allargato fino ai confini della terra, ed ho giocato sul mappamondo il bel gioco della mia vita.

Tuttavia le mura del giardino non hanno fatto che indietreggiare, e così mi sento sempre in gabbia.

Ma un giorno verrà, in cui potrò cantare il mio canto di amore e di gioia. Tutte le barriere cadranno.

Ed io possiederò l'infinito".

 

 

Con una brusca spinta, al galoppo sul "Stella in alto mare"suo cavallo, Guido ha forzato la porta del mistero dl Dio in una offerta totale di se stesso per la Francia che tanto amava.

La Santa Vergine, in cui onore aveva ideato di far costruire dagli Scout un Santuario, deve avere accolto con particolare tenerezza questo figliolo di luce, su cui brillava riflesso lo splendore della sua Purezza.

Morire a cavallo fu la sua ultima gioia, come ci rivela la lettera che portava con sé al momento del suo ultimo combattimento.

Vi sono pochi mistici che in tal modo e fino a tal punto abbiano come lui congiunto questo desiderio folle di Dio e questa gioia di vivere, che abbiano provato tanto giubilo nel raggiungere Dio e nel morire a cavallo, che abbiano testimoniato in modo cosa pieno che Dio è veramente felicita e Vita.

 

 

(p. M.D. Forestier o.p., pref. a "Stella in alto mare", ed. italiana 1951;

don Tarcisio Beltrame Quattrocchi, pref. ed 1994)

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