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Essere Capo

"Si narra che durante la guerra 1914 - 1918 il generale Foche, cattolico praticante, ricevesse dal Ministero della Guerra - di tendenze anticlericali - un telegramma così concepito:

"Favoritemi nomi ufficiali presenti Messa".  

Al che, il vecchio Capo rispose: 

"Impossibile elenco, poiché stando prima fila non vedo quanti sono dietro".

Essere capi significa semplicemente questo: camminare davanti, nel rischio e nella prova, senza misurare l'utile o il danno, per aprire una strada per coloro che ci seguono, per testimoniare una fede e diffondere l'amore, chiedendo agli altri solo di ricalcare le proprie tracce". 

"E' capo chi sa dimenticarsi per gli altri, chi dona senza ricambio, chi soffre - solo - senza mendicare consolazione:

per ogni fratello che piange,

per ogni peccato che si moltiplica nel mondo,

per ogni dolore che nasce dalla viltà di altri uomini.

Si è capi in proporzione all'amore.

Perché solo questo ci apre sugli altri, solo questo ci fa essere unità - misteriosa e reale - con gli altri". "Solo assimilate convinzioni, frutto di studio, di riflessione, di preghiera e di consiglio, possono sostenere fra le sconfitte che la vita presenta.

E' capo chi è competente nel campo in cui svolge il suo compito. Competenza nasce da una lunga ricerca e dall'aver avuto un maestro, che abbia affinato le doti".

 

Mons. Andrea Ghetti (conosciuto nello scautismo come Baden), tornato alla Casa del Padre nell'agosto 1980 (da, "Al ritmo dei passi", ed. Ancora, 1983)

 

Questo brano è tratto dagli scritti di don Ghetti, il Baden delle Aquile Randagie. Queste parole portano un marchio di particolare genuinità, perché scritte da chi fece della coerenza e della fedeltà ai valori dello scautismo cattolico una bandiera, sino al giorno dell'ultima Route in Francia.

Manuale Scout de France anni '50

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