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La figura del

Capo Scout

 

di Gianfranco Reina

Da un vecchio numero (21) della rivista "Cammino",

della Associazione Guide e Scout San Benedetto

Metodo:

La figura del Capo Scout

 

Lord Baden Powell, in "Taccuino", non lascia spazio ad alcun dubbio:

sono quattro le qualità essenziali che deve possedere un capo, ovvero

- una fede granitica nella giustezza della sua causa,

- una personalità energica e una amichevole comprensione per i suoi ragazzi,

- una notevole fiducia in se stesso ed infine, ed è forse questa la dote più importante,

- la capacità di dare l’esempio mettendo in pratica per primo ciò che predica.

Ogni autorità esige almeno tre condizioni:

l’ideale, l’attitudine ad essere capi, la competenza tecnica e metodologica. disegno di Emanuele Locatelli

Senza il primo è impossibile divenire un vero capo: l’ideale è questione "di vita o di morte".

Il capo serve Dio attraverso i suoi ragazzi, sacrificandosi ed annullandosi per loro.

Ma serve anche l’attitudine, cioè la predisposizione a ricoprire tale delicato ruolo.

B.-P. dice che "capi si nasce" ed infatti questa condizione è un dono di Dio, anche se è pur sempre vero che chiunque, volendolo fortemente, può lavorare con grande perizia su se stesso, affinando le proprie piccole doti di leader e alla fine può anche darsi che, pur non riuscendo mai a divenire un trascinatore irresistibile e travolgente, arrecherà al suo gruppo un sicuro vantaggio frutto di un lavoro generoso, costante e preciso.

Ed infine la competenza tecnica e metodologica vuol dire conoscenza del metodo della branca in cui il capo deve servire.

Ciò comporta partecipazione ai campi scuola, lettura dei testi fondamentali dello scoutismo e delle riviste associative, formazione personale in genere e tanta, tanta esperienza da acquisire lungo "la strada".

E’ palese che la competenza risponde anche a una esigenza di prestigio, senza di essa presto o tardi un capo perderà la stima dei suoi ragazzi. Ma essa è soprattutto garanzia di una buona direzione dell’unità, secondo il metodo e le direttive associative.

Per riuscire il capo deve credere in maniera radicale in ciò che fa.

Non a caso il fondatore parla di "fede sconfinata nella giustezza della sua causa".

Diderot affermava: "si facessero anche solo degli spilli bisogna essere entusiasti del proprio mestiere per eccellervi" e su questa scia continuava Camillo Cavalier: "si fa bene solo quanto si fa con passione".

Solo un capo fortemente determinato potrà possedere quegli slanci audaci e decisivi che faranno dischiudere a lui e alla sua unità strade e vette che per altri rimarranno sempre un sogno.

Egli riuscirà a tradurre in realtà le proprie idee, malgrado l’eventuale forza d’inerzia o le possibili incomprensioni degli uomini, solo se avrà una fede inossidabile nella bellezza del proprio compito; ed è solo allora che i suoi ragazzi, affascinati da una figura così solida, saranno pronti a sacrificarsi per colui che è ormai diventato il loro "eroe".

Mi piace cogliere una piccola sfumatura verbale di Baden Powell che parla di "simpatia e amichevole comprensione per i propri seguaci"; il ragazzo infatti deve avvertire che chi lo comanda lo ama con tutto il cuore ed è pronto ad affrontare sacrifici e fatiche pur diRiparto Forlì 1 FSE adempiere alla propria missione.

La relazione personale del capo con ciascun componente la sua unità, è dunque altamente privilegiata.

A tale primaria condizione seguiranno la "familiarità" e quindi la "confidenza" che è condizione indispensabile per la riuscita dell’azione educativa.

Il vero educatore dunque partecipa alla vita dei suoi ragazzi, si interessa ai loro problemi, prende parte alle loro conversazioni, con una frase "sente come loro".

E proprio perché parte della "banda" si potrà permettere di chiarire problemi, di indicare criteri e di correggere con prudenza e amorevole fermezza valutazioni e comportamenti biasimevoli.

Ecco che si realizza la figura del "fratello maggiore" ed emerge la triade CAPO-UOMO-RAGAZZO.

Trovo in questo caso estremamente verace l’affermazione di San Giovanni Bosco:

"che i giovani non siano solo amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati".

Nella sua azione educativa il capo deve essere sostenuto dalla fiducia in se stesso, e ciò non sarà difficile se egli è un uomo di carattere convinto di sapere usare al meglio possibile i ferri del mestiere.

Infine arriviamo all’ultimo dei talenti, ma per questo non meno importante, essenziale per un capo:

l’esempio personale.

Michel Menu, in "Arte e tecnica del capo", entra nel merito e si sbizzarrisce con una serie di aforismi:

"se tu rallenti essi si arrestano,

se tu ti siedi essi si sdraiano,

se tu dubiti essi disperano,

se tu preghi essi saranno santi…".

 

Anche Baden Powell si pronuncia più volte in "Taccuino" e in "Suggerimenti per l’educatore Scout" [Il Libro dei Capi], ed arriva persino a proporre un esame di coscienza per capi (Taccuino pag. 114).

Già, un capo è costantemente "fotografato" dai suoi ragazzi.

Nella mia esperienza personale ho più volte constatato che per il ragazzo non conta tanto ciò che il capo dice, quanto ciò che fa. "Exempla Trahunt" dicevano gli antichi latini ed è di biblica memoria il detto:

"La Fede senza le opere è morta".

Il capo deve dunque vivere come se fosse costantemente sotto la luce di potentissimi riflettori, gli occhi dei suoi ragazzi, e più sarà amato maggiore dovrà essere la sua attenzione in ciò che fa e dice.

Sbalzi di umore, impazienza, malumore, scarsa padronanza di se, cattive abitudini, saranno con buona probabilità "fotocopiate" dai suoi ragazzi.

E’ d’obbligo a questo punto sottolineare l’importanza della più alta signoria per un capo, cioè quella di se stesso.

G. Courtois in "La scuola dei capi" ci avverte:

"perdere il controllo su di se è il cammino più sicuro per perdere anche l’autorità sugli altri".

Trovo giusta la formula di Richelieu il quale era convinto che per agire con efficacia bisogna ascoltare molto e parlare poco.

I ragazzi esigono dal proprio capo serenità e sicurezza e sono in grado di fiutare il benché minimo segno di incertezza o peggio di paura.

Avviandomi a conclusione vorrei soffermarmi velocemente su altre due qualità che meritano di essere abbondantemente sottolineate:

il senso del reale e il disinteresse.

Il capo scout deve innanzi tutto conoscere se stesso, i propri limiti, la meta che si prefigge e i mezzi di cui dispone per far bene il proprio lavoro, tenendo conto anche degli scogli e delle difficoltà a cui andrà incontro.

Egli non si dovrà lasciare incantare dalle singole situazioni, dai momentanei successi, ma dovrà imparare a guardare dall’alto, nell’insieme, in tutte le situazioni.

Tutto ciò vuol dire avere senso del reale. Nel frattempo non bisogna cercare glorie, vantaggi o successi personali; l’unica gloria da inseguire spasmodicamente è quella di Dio.

Il servizio ai ragazzi, per potersi veramente definire tale, deve essere disinteressato e mosso dalla consapevolezza che il capo è un umile strumento nelle mani di Dio che lavora sui suoi figli.

E’ gioco forza fare entrare nel discorso anche l’umiltà e la pazienza.

Umiltà perché non c’è nulla di più folle che fare dipendere la nostra azione di capi dal successo o dall’applauso degli altri.

Dunque nel nostro animo deve sempre essere presente una riserva, una capacità di distacco da tutto ciò che facciamo e una consapevolezza dei nostri limiti. Questa accettazione è parte di uno spirito umile.

La pazienza, allo stesso modo, si edifica con il ferreo esercizio della volontà.

Nei momenti difficili della vita in unità dobbiamo essere capaci di rimetterci costantemente "in gioco", di perseguire con insistenza la meta.

Dobbiamo però sapere aspettare, con pazienza e fiducia, affidandoci sempre a Maria sempre pronta a venirci incontro in ogni difficoltà.

Mezzi spirituali e ancoraggio sicuro nelle difficoltà saranno la preghiera abbondante, per se e per i propri ragazzi, e l’Eucarestia. "Senza di me nulla potete",

"Se il Signore non costruisce la casa, invano lavorano coloro che costruiscono", - ed ancora -

"Se Dio non veglia sulla città le scolte vigilano invano".

Sono parole che devono convincerci che tutto possiamo in Dio, nulla senza Dio.

Nell’educazione dei ragazzi, Dio e la sua Grazia sono gli agenti principali.

Se il capo lavorerà tenendo presente questo ideale soprannaturale, non sarà più preda della volubilità della sua natura umana.

 

Ringraziando Stefano V - vantoeasy, per aver procurato a Zeb questo testo.

 

disegno di Emanuele Locatelli

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