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beato

don Stefan 

Wincenty Frelichowski

Il Beato don Stefan Wincenty Frelichowski, scout chiamato al più alto servizio, morto a 32 anni nel campo di concentramento di Dachau il 23 febbraio 1945, riempiendo di vero dolore tanti cuori, per i quali diede la sua vita. 

Dopo la sua morte accadde qualcosa di straordinario che non era mai accaduto prima.

 

Dal 7 giugno 1999 gli scout di tutto il mondo hanno un Patrono in più. 

Si tratta di un giovane sacerdote polacco, Stefan Wincenty Frelichowski, morto a 32 anni nel campo di concentramento di Dachau il 23 febbraio 1945. A tutti gli scout del mondo il Papa Giovanni Paolo II ha consegnato questo straordinario compagno di strada.

Giovanni Paolo II l’ha proclamato beato a Torun, città natale di Copernico, durante il viaggio nella "sua" Polonia.

Merita saperne di più di questo nostro fratello scout che ha conosciuto il martirio: la sua testimonianza così attuale (quanti cattolici continuano a morire a causa di guerre fratricide e pulizie etniche!) ci fa sentire più vicina, forse meno irraggiungibile la meta della santità. É bello sapere che chi ci è stato così vicino in qualche modo ci sta preparando la strada verso il Regno, se non altro perché l’ha percorsa prima di noi... Così don Stefan che, entrato negli scout fin da ragazzo, attinse dallo Scautismo - come ha sottolineato il Santo Padre nell’omelia di beatificazione - alcuni spunti fondamentali per il suo ministero sacerdotale.

 Nacque il 22 gennaio 1913 a Chelmza, da Ludwik Frelichowski e da Marta Olszewska.  Diversi anni dopo, ormai in veste di seminarista, scrisse brevemente nel suo «Diario»: «la mia famiglia mi ha dato una sana visione della vita. Ha inculcato nel mio spirito questo elemento divino, l'amore universale per gli uomini oppressi e poveri e mi ha dato il rispetto per il lavoro». 

Il desiderio del servizio si sviluppò già negli anni scolastici e soprattutto nel ginnasio, quando nel 1927, a 14 anni, decidese di entrare a far parte della associazione scout,  dedicata a Zawisza Czarny, perché molto forte era il suo desiderio di servizio al prossimo, a Dio, alla Patria. Queste furono le sue prime decisioni indipendenti e responsabili.  Stefan ha un sogno: un mondo dove tutti possano condividere gli ideali dello Scautismo. Si legge, infatti, nei suoi diari giovanili: : «Io stesso credo fortemente che il paese di cui tutti i cittadini fossero gli scout, sarebbe il più potente di tutti. Poiché lo scoutismo ha i mezzi per formare attraverso la sua scuola, il tipo di uomo di cui la nostra società ha bisogno».  

La vita e gli ideali scout modellarono in gran parte il suo carattere e influenzarono la personalità del futuro sacerdote. Qui imparò il primo servizio al prossimo e a Dio, e anche il sacrificio per la Patria.

Dopo l'esame di maturità Stefan, si trovò davanti a un bivio. Deve scegliere e sente che la sua vocazione al servizio lo porta ad una scelta più radicale: entra così in seminario.  

  Nel «Diario» scrisse: «Ho già fatto la scelta decisiva e l'ho detto a Cristo: divento un sacerdote. Voglio seguire solo Cristo, essere il Suo unico servo».

 Non era però questa una forma di fuga verso il mondo dei propri sogni ma una felice apertura verso gli altri e verso Dio stesso. Già nel Seminario sviluppò la sua devozione al Cuore di Gesù, desiderando essere il Suo sacerdote.

«Questi sono i miei obiettivi e la volontà per la mia vita futura. Ti amo già adesso Gesù. Però voglio amarTi, Dio, con la pienezza del mio essere. Vorrei che, attraverso l'amore Tu mi accolga presso Te. (...). Mi ha richiamato Cristo. Io davvero posso dire che Egli mi ha richiamato. Sono venuto qui per santificarmi. Sono venuto per diventare il sacerdote secondo il Cuore di Dio».

Era cosciente che doveva molto lavorare su se stesso e combattere contro le tentazioni del mondo. Nei momenti di debolezza si confidava ai Sacratissimo Cuore di Gesù, vedendo solo in Lui la salvezza e l'aiuto spirituale. «Il primo venerdì del mese ho cominciato la novena in nome del Sacratissimo Cuore di Gesù con l'intenzione di ricevere la chiara e ardente vocazione. Durante i primi nove venerdì del mese voglio chiedere a Gesù di avere un cuore che lo ami ardentemente, il cuore sacerdotale. (...) Gesù che hai detto: “chiedete e vi sarà dato”, Ti prego da a me la grazia della chiara e ardente vocazione». 

Stefan Frelichowski venne ordinato sacerdote nel marzo 1937, e nel luglio 1938 venne mandato come vicario nella parrocchia della Beata Vergine Maria a Toruñ. 

Immediatamente si inserisce nelle numerose attività pastorali, assume anche la funzione di assistente spirituale degli scout della «Bandiera di Pomerania». Aveva il presentimento però, che lo aspettassero sacrifici molto più pesanti, fino ad arrivare alla croce: «Sono sicuro che le difficoltà precedenti sono niente, che la sofferenza vera verrà. Se il Maestro soffriva, allora può il servo non soffrire? Rendere il sacrificio di Cristo, celebrare la Santa Messa, cominciare questo vuol dire anche soffrire. Non so come sarà la mia sofferenza. Ma lo so che essa verrà. A Te Signore già la rendo in sacrificio e per Te voglio soffrire, per compiere il mio compito sulla terra».  

Così ha ricordato il Papa, Giovanni Paolo II:

"Vivendo di Dio, sin dai primi anni del sacerdozio, con la ricchezza del suo carisma sacerdotale, andava ovunque c’era bisogno di portare la grazia della salvezza - ha detto ancora il Papa durante l’omelia di beatificazione di don Stefan - apprendeva i segreti dell’animo ummano e adattava i metodi della pastorale alle necessità di ogni uomo che incontrava. Tale capacità egli l’aveva attinta dalla scuola dello Scautismo da cui aveva acquisito una particolare sensibilità ai bisogni altrui, e costantemente la sviluppava nello spirito della parabola del buon Pastore che cerca le pecore smarrite ed è disposto a dare la propria vita per salvarle". 

 Anche la vita di don Stefan, come accade a numerosi altri suoi confratelli, religiosi, religiose e laici polacchi, viene sconvolta dalla guerra. 

Il 7 settembre 1939 entrarono i reparti della Wermacht a Toruñ e cominciò l'occupazione. Per don Frelichowski questa sarebbe stata l'ultima tappa verso la conoscenza della passione di Cristo e dell'amore del Cuore di Gesù. L'11 settembre vennero arrestati tutti i sacerdoti della parrocchia della Beata Vergine Maria e vennero rinchiusi nella prigione di Toruñ. Solo don Stefan non verrà rilasciato: la sua strada non lo condurrà in numerosi campi di concentramento, e l’ultimo è Dachau. 

Don Stefan come a Torun, continua ad essere un uomo di speranza anche in quei luoghi dove la speranza non sembrava avere casa, si fa compagno di strada di molti prigionieri che da subito vedono in lui una persona speciale.

Nonostante l'atmosfera fosse tragica nel campo di concentramento, don Frelichowski compiva la sua missione della vita, quando cercava le persone più deboli, bisognose di cibo e di medicine, quando dava loro l'ultimo pezzo del suo pane, donando con tutto ciò non soltanto la possibilità di sopravvivere, ma molto di più, il cuore e la fede in Cristo e nella forza del Vangelo. Spesso, quando poteva farlo inosservato, andava all'ospedale per svolgere lì il suo ministero sacerdotale. Così fu vicino a tutti. Egli, giovane sacerdote, si distingueva fra gli altri più anziani e con più esperienza di lui. Don Frelichowski in questa «buia valle» non si spaventò del male, divenne luce e speranza per gli altri. «Bisogna diventare lux mundi. E come la candela si accende col fuoco e dopo brilla, così anche a me occorre avvicinarmi alla luce, toccare».

 Don Frelichowski vedeva questo tragico campo soprattutto come il terreno per il suo lavoro pastorale. Non poteva fare diversamente. «Ardore per le anime è la vita del sacerdote» - ecco il senso della sua attività nella parrocchia e nel campo di concentramento. Era per tutti un fedele apostolo di Cristo.

  Alla fine del 1944 e nelle prime settimane del 1945, quando a Dachau arrivarono i prigionieri da svariate destinazioni, per le condizioni di vita estrema scoppia un’epidemia di tifo.

Don Stefan continua a servire i compagni di prigionia malati, li assiste nelle loro baracche quando nessuno ha più il coraggio di entrare. «Il sacerdote significa tanto in quanto significa per Dio. Né di più né di meno, sebbene la gente parlasse di lui chi sa come. Offrimmo le nostre opere a Dio. Tutte. La gloria di Dio è il midollo della nostra vita». Non era facile la decisione di recarsi nelle baracche infettate dal tifo. Non esitò, e con il suo comportamento testimoniò che la vita vera è la vita eterna. Non vide il momento della liberazione del campo di concentramento a Dachau. Prendendosi cura dei malati si ammalò anche, condividendo fino alla fine la sorte dei più deboli. È il 23 febbraio del 1945, a due mesi dalla liberazione quando don Stefan muore. E come accade quando muore un santo, la morte di don Stefan svelò la ricchezza della sua vita. 

  Dopo la sua morte accadde qualcosa di straordinario, che non era mai accaduto prima. Le autorità del campo, prima che il corpo del sacerdote fosse cremato, diedero il permesso che a don Stefan fosse dato l’estremo saluto da tutti i suoi compagni di prigionia.  

  Il testimone oculare ricorda: «In silenzio e in solenne concentrazione di preghiera la folla dei prigionieri si muoveva nell'ossario. Passavano giovani e vecchi, Polacchi e stranieri. Lo conoscevano tutti. In quel momento tante intense preghiere erano rivolte al Creatore per lui, tante lacrime si versavano sulle guance. Se ne è andato da sacerdote amato e santo. Era morto un uomo che aveva depositato la sua vita sull'altare dell'amore e della misericordia verso il prossimo».

Andava via colui che era veramente il sacerdote del Cuore di Dio.

Fu allora che uno studente di medicina compagno di don Stefan, riuscì a tagliare un pezzetto di dito dal corpo del sacerdote prima dell’ingresso nel forno crematorio. Aveva intuito che di don Stefan si sarebbe continuato a parlare a lungo. Questo stesso studente sopravvissuto all’olocausto, oggi anziano e infermo, ha consegnato personalmente al Papa nel giorno della beatificazione di don Stefan, in un momento di grande commozione, l’unica reliquia del sacerdote di Torun.

"Chiedo a voi educatori, che siete chiamati ad inculcare nella giovani generazione i valori autentici della vita: insegnate ai bambini e ai giovani la tolleranza, la comprensione e il rispetto per ogni uomo; educate le giovani generazioni in un clima di vera pace. È loro diritto. È vostro dovere — ha detto ancora Giovanni Paolo II richiamandosi a padre Stefan - Voi, giovani, che portare nel cuore grandi aspirazioni, imparate a vivere nella concordia e nel reciproco rispetto, aiutandovi con solidarietà gli uni verso gli altri. Sostenete nei vostri cuori l’aspirazione al bene e il desiderio della pace".

Infine, a tutti gli scout polacchi (e siamo convinti a tutti gli scout del mondo) Giovanni Paolo II ha consegnato questo straordinario compagno di strada:

"Voglio rivolgermi anche a tutta la famiglia degli scout polacchi, alla quale il neo beato era profondamente legato. Diventi il vostro patrono, maestro di nobiltà d’animo e intercessore di pace e di riconciliazione".

Tratto dall'articolo di Marina Lomunno, in "Scout - Proposta Educativa", Ottobree 1999, e dall'articolo di Miroslaw Mróz, ne  "L'Osservatore romano", 4-5 giugno 1999

INIZIO H.P.